lunedì 4 novembre 2013

#Roma #ATAC #trasportopubblico e #obbligostraordinari

Roma, la lotta degli autisti contro l'arroganza dell'Atac

Monta la protesta autogestita degli autisti Atac. Oggi è arrivato un piccolo assaggio, la "scopertura dello straordinario". E l'azienda è andata subito in allarme, tanto da mobilitare la prefettura. Il punto è che non si tratta di uno sciopero ma dell'osservanza scrupolosa delle regole del servizio. Per ora i numeri, di quella che possiamo però definire una protesta, sono di tutto rispetto. In undici rimesse Atac tutte percentuali che vanno dall'80 al 100%. Solo in un caso, a Portonaccio, la percentuale di quelli che si sono rifiutati di fare lo straordinario si è fermata al 50%. La protesta durerà per tutta la settimana. Il ballo è appena cominciato. Perché l'Atac è nel panico? Semplice, il lavoro straordinario a causa della forte carenza d'organico, permette che ben il 30% del servizio vada avanti. Senza contare che la media delle ferie non godute dovrebbe aggirarsi intorno ai due mesi. Tutte voci che gravano sul bilancio dell'azienda, ovviamente. Una vera e propria follia gestionale, in una azienda di trasporti dove per ogni autista ci sono quattro addetti amministrativi. Certo, Atac è stata il "fiore all'occhiello" della parentopoli di Alemanno, ma la situazione ormai è al collasso. Mercoledì ci sarà il sit in sotto le finestre del Campidoglio ma gli autisti avvertono "noi ci distingueremo dai sindacati". E non serve tanta fantasia per capirne le ragioni. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata la mancata corresponsione del premio di risultato pattuito: solo 250 euro su circa 700. E la reazione sindacale si è fatta attendere o è stata inadeguata. Di per sé sembra una cosa da nulla. In realtà, agli occhi degli autisti, che sono costrettti a subire turni massacranti di lavoro, malattie professionali, mezzi inadeguati in tutto e per tutto, fino alla mancanza dei bagni chimici ai capolinea, ha rappresentato l'ultimo torto. E all'ultimo torto, si sa, si reagisce. Basti dire che l'autorganizzazione è nata in poche ore sui socialnetwork ed ha raccolto più di tremila contatti. I dipendenti sono in totale cinquemila. Fatti due calcoli, come si diceva una volta, l'adesione è stata massiccia. "Noi scopriremo gli straordinari dal 4 al 10 novembre - scrivono su Fb -. Se tutto va come deve Roma sarà al tappeto e sarebbe interessante raccontare la verità su una azienda che toglie soldi alla forza lavoro in immensa carenza d organico mentre stipendia i dirigenti con decine di migliaia di euro l anno. Dati pubblicati su internet".

domenica 3 novembre 2013

#PD e #uscitadisicurezza

Ai dirigenti Pd consigliamo la visione dell’ultimo film di Checco Zalone: si divertiranno e avranno modo di riflettere sul personaggio che lo stesso autore ha così descritto a Malcom Pagani: “Un disgraziato che si mostra più stronzo dei ricchi, ambisce solo ad assomigliargli e alla fine, diventa peggio di loro”. Non è in qualche modo la parabola del loro partito, nato per “cambiare l’Italia” e che invece fa combutta di governo con il nemico che doveva cacciare, rischiando di spappolarsi tra mille faide interne? Prendete le ultime cronache congressuali: dalle Alpi al Lilibeo un’esplosione di tessere fasulle con i clan locali che arruolano seduta stante plotoni di immigrati e perfino gente del Pdl, per accaparrarsi quote di potere. Mentre i veri militanti disertano nauseati le vecchie sezioni ora chiamate circoli: dei ring dove i capatàz finiscono sovente per darsele di santa ragione. Senza contare i pugnali nell’ombra, che spiegano la scelta democratica e prudente di andare al voto palese, onde evitare gli agguati dei franchi tiratori, quando il Senato dovrà pronunciarsi sulla decadenza di Berlusconi. Come la peggiore Dc, dice qualcuno: paragone che l’esperto Cirino Pomicino respinge, non senza qualche ragione, ricordando che lo scudocrociato era un partito vero e non un marketing leaderistico senza prodotto. A Matteo Renzi le orecchie dovrebbero fischiare anche per la transumanza di facce siciliane poco raccomandabili che sul carro del vincitore vogliono pasteggiare a champagne, altro che spingere. Il giovane sindaco può vincere tutte le primarie che vuole, ma costoro poi presentano il conto: questo il senso del pizzino. Era inevitabile: per vent’anni il miliardario di Arcore è stato un perfetto alibi morale per i suoi presunti oppositori. Lui, per dire, frodava il fisco, comprava senatori, frequentava minorenni e loro buttavano la polvere sotto il tappeto. Stavano al gioco, con i Penati di turno, percettori di buste preparate da solerti segretarie e intanto scendevano in piazza contro il Caimano cattivone. Ma ora che a palazzo Grazioli stanno (forse) per spegnersi le luci, l’alibi vacilla e le magagne altrui spuntano come i funghi con le piogge autunnali. E può succedere che, dopo la nipote di Mubarak, tocchi alla figlia di Ligresti. E che, scoperto il peccatuccio, vengano addotte, guarda un po’, identiche ragioni “umanitarie”. Certo, una Guardasigilli è più presentabile di un pregiudicato, ma la protesta dei berluscones – perché a lui non credete e a lei sì? – non sembra del tutto campata in aria. “Parola di ministro” è un buon titolo per il prossimo film comico di successo.

sabato 2 novembre 2013

#Segui #Appello del Centro di Ricerca per la Pace di Viterbo, del Movimento Nonviolento, dell’Ass. Antimafie Rita Atria e di PeaceLink


La criminalizzazione della protesta sociale si estende rapidamente nel mondo intero.






Travaglio, Rampini e il ministro-testimonial degli F35 a sua insaputa.
Non dev’essere parso vero a due giornalisti scafati del calibro di Marco Travaglio e Federico Rampini trovarsi di fronte giovedì sera negli studi romani dell’arrembante programma televisivo condotto da Michele Santoro “Servizio Pubblico” il ministro della Difesa Mario Mauro. Lo stesso ministro che il giorno prima era apparso “a sua insaputa” (!) nello spot presentato a New York dalla Lockheed Martin per promuovere il cacciabombardiere F-35. La notizia all’ignaro ministro l’aveva data in mattinata proprio Rampini su “la Repubblica”.

I fatti
Giovedì 31 ottobre, “la Repubblica” pubblica a tutta pagina un servizio del suo prestigioso corrispondente da New York, Federico Rampini. Il titolo è lapidario “Il ministro Mauro testimonial degli F35”. Rampini racconta con meticolosità alcuni passaggi dello spot in cui appare il ministro della Difesa italiano che dice: «To love peace you must arm peace. F35 does that». Traduzione: “Per amare la pace devi armare la pace, l’F35 lo fa”. Il commento del giornalista non lascia scampo a dubbi: “Il testimonial per promuovere il controverso caccia-bombardiere, è il ministro della Difesa italiano. Il volto di Mario Mauro, e quella frase virgolettata, campeggiano in testa a un elenco di sponsor stranieri. Ce li mostra, in una proiezione per la stampa a New York, il produttore: Lockheed Martin, colosso dell’industria bellica americana. I dirigenti della Lockheed hanno organizzato uno show di lusso, include la simulazione di volo in un cockpit (cabina di pilotaggio) virtuale dell'aereo militare”.
Una simulazione che – detto tra parentesi – deve aver ammaliato il corrispondente de “la Stampa”, Paolo Mastrolilli. Nel suo reportage da New York l'inviato ci descrive tutte le sue peripezie “Alla cloche dell’F35 nel centro di Manhattan”. Mastrolilli, forse perché troppo indaffarato ad abbattere un Mig 29 che lo inseguiva (nella simulazione, s’intende) e a gongolarsi per la benevola pacca sulle spalle e la lode dell’istruttore di turno non s’è manco accorto dello spot col ministro Mauro. O – anche se se n’è accorto – per lui quella era una non-notizia: “Vuoi mettere – avrà pensato l'esperto corrispondente – l’inezia di raccontare uno spot pubblicitario in cui appare un ministro della Repubblica rispetto all’emozione deflagrante di una simulazione di battaglia su un Joint Strike Fighter a Mac 1.6, la massima velocità possibile, ben oltre il muro del suono!”. (Agli appassionati del genere segnalo la video-notizia in inglese sul sito olandese “De Telegraaf”)

La piccata reazione del ministro Mauro
Al ministro Mauro non dev'essere sembrato vero (di apparire nello spot, intendo, non la delusione di non essere stato invitato alla simulazione di volo sul JSF). Forse perché lusingato o forse perché sgomento, ci ha dovuto riflettere un po’. Sta di fatto che ci ha impiegato più di mezza giornata per far emettere alla sua addetta-stampa un comunicato. Dai toni imperiosi, come s'addice ad un ministro della Difesa: “Chiunque utilizzi in modo improprio, diffamatorio o superficiale l’immagine o le dichiarazioni del ministro della Difesa Mario Mauro, ne risponderà nelle sedi legali deputate”. Punto.
Ma a chi si rivolge il ministro? Alla stampa che riporta la notizia o alla Lockheed Martin che l’ha piazzato – a sua insaputa parrebbe – in uno spottone proiettato alla stampa mondiale nel bel mezzo di Manhattan? Non è dato di sapere. Anche perché, l’addetta stampa del ministro deve aver diffuso il comunicato via fax visto che non appare sul sito del Ministero (forse per non renderlo troppo ufficiale, sai mai che dall'altra parte dell'oceano se ne accorgano) e che l’ultimo tweet del ministro Mauro risale al maggio scorso (chissà, forse pensa che gli americani gli spiino i tweet o vuoi vedere che il ministro ha perso la password?).

Il top del nazional-giornalismo: “Ai suoi comandi, signor Ministro!”
Il ministro Mauro, comunque, ha polsi d’acciaio e nervi calmi. In serata infatti è seduto nell’arena di “Servizio Pubblico”, il caustico programma televisivo condotto da Michele Santoro. Un’arena di fuoco che il ministro già conosce per aver dovuto affrontare le invettive di Vauro proprio sulle spese per gli F35. E sa per certo che stasera dovrà fronteggiare proprio Federico Rampini, il giornalista di Repubblica che in mattinata ha piazzato la notizia della sua apparizione nello spot targato Lockheed. E poi c’è Marco Travaglio. E lui ha il fiuto per le notizie. Le scova come un cane da tartufi nelle Langhe. Ma un ministro della Difesa non può certo tirarsi indietro: ha fatto il servizio militare, mica è un pappamolle.
E cosi eccolo lì seduto nell’arena infuocata di “Servizio Pubblico”. Travaglio gli è di fronte, Rampini in collegamento da New York. E poi se non bastasse c’è Maurizio Belpietro, il fustigatore di Scajola e Fini quelli della casa comprata “a loro insaputa”. E c’è pure Enrico Mentana che le notizie non se le fa certo scappare. E poi, anche se un po’ in disparte, c’è Gianni Dragoni che di questioni industriali-militari se ne intende. Insomma “il top” del giornalismo italiano di ogni schieramento e colore. Da casa attendo trepidante la domanda: “Signor ministro che ci faceva nello spot degli F35?”.
"Gliela farà Rampini" - mi dico. In fin dei conti è lui che ha scovato la notizia. Ma dai! Vuoi che Travaglio si lasci sfuggire l’occasione? Travaglio l’ha scritto chiaro e già da tempo: «…quando si sente parlare il ministro della Difesa Mario Mauro viene la nostalgia non solo della Idem, ma perfino della Biancofiore. E non solo per le fesserie che continua a dire sugli F-35 (“amare la pace significa armare la pace”)… ». Ma no, sarà Belpietro, lui i centristi non li sopporta proprio. Ma guarda che Mentana è astuto e veloce come una faina: appena gli danno la parola ne approfitta e la domanda spinosa la piazza lui al ministro. E poi c’è Santoro, col suo fare magistrale non se la fa certo sfuggire, anche solo per dovere di cronaca.
Vabbè si inizia parlando della Cancellieri e del “caso Ligresti”, in fin dei conti quella è la notizia del giorno. Poi, ovviamente, si passa a Berlusconi (che fa sempre audience) e la polemica sul “voto segreto”. E poi alla legge di stabilità, questa sì interessa gli italiani. E poi finalmente arriva Rampini. “Vedrai adesso gliela piazza la domanda al ministro”. Niente, il giornalista s’inerpica in un panegirico sull’inadeguatezza della classe politica italiana (toh che notizia!) e sulla BCE tanto che Santoro è costretto a fermarlo. Forse a Rampini non hanno detto che in studio c’è il ministro Mauro? O s’è scordato quel che ha scritto la sera prima per Repubblica? E tutti gli altri? "Ma sai, son tutti newsmakers di professione: le notizie loro le producono, mica riciclano quelle della concorrenza" – mi dice un amico che ne capisce di giornalismo. E così la serata si conclude. Nemmeno Vauro accenna alla questione: nessuna vignetta sul “ministro-testimonial a sua insaputa".

Morale della favola
Il ministro Mauro può stare tranquillo. L’unico giornalista che può fargli qualche domanda imbarazzante in televisione sugli F35 (a parte Vauro che però di professione sarebbe “disegnatore e vignettista”) è... Bruno Vespa. Ma non si preoccupi, signor Ministro. L’ultima volta che Vespa l’ha interrogato sugli F35 nel salotto di “Porta a porta” erano le 01:06 del mattino. Ora italiana.



Rifiuti tossici, "il business è ancora attivo. Lo Stato appoggia i boss"

"Lo facevano allora e lo fanno ancora". Dopo le rivelazioni shock sulle dichiarazioni rese nel 1997 alla commissione parlamentare d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti e desecretate giovedì, Carmine Schiavone, boss pentito di camorra, parla in esclusiva a Rainews24 del traffico e interramento di rifiuti tossici in Campania e delle conseguenze nefaste per la salute dei cittadini. Nell'intervista, andata in onda ieri, Carmine, cugino di Francesco Schiavone, detto 'Sandokan' e boss dei Casalesi, ha confermato le connivenze tra organi dello Stato e la criminalita' organizzata. "Non puo' esistere - dice il pentito - forma di criminalita' organizzata senza l'appoggio dello Stato", aggiungendo "questo lo fanno ancora". Il pentito dice poi che all'epoca le dichiarazioni rese non servirono a niente e che oggi la popolazione nelle zone in cui sono state interrate tonnellate di rifiuti provenienti da ogni parte d'Italia e da altri Paesi europei "e' condannata a morte".
Cinquecentomila lire a fusto
Per ogni fusto tossico smaltito nelle campagne della Campania la camorra incassava cinquecentomila lire a fronte dei due milioni e mezzo necessari per il ''ciclo'' ordinario. Rifiuti gettati a decine di metri di profondita', fino a toccare le falde acquifere, o coperti solo con pochi centimetri di terreno. E ancora: scarti finiti in 'laghetti', sorti lungo il litorale domizio, dove si e' dapprima dragata la sabbia utilizzata per confezionare calcestruzzo. In questi anni le indagini della magistratura sono andate avanti e sono state fatte tutte le dovute verifiche su quanto raccontato non così però per l’opera di bonifica. Su questo aspetto certamente non secondario è intervenuto il presidente della Camera, Laura Boldrini.

Boldrini: "Impensabile non avvertire i cittadini"
"E' impensabile che cittadini coinvolti come parte lesa in una situazione cosi' grave per il loro futuro non abbiano possibilita' essere informati”, ha detto. Alla luce di quanto emerso "ci saranno ulteriori approfondimenti", ha aggiunto. "Mi auguro ci sia un senso forte della giustizia a prevalere. Lo dobbiamo ai cittadini".
Schiavone dinanzi ai commissari ha ripercorso nel 1997 tutta la storia dell'avvelenamento di alcune terre delle province di Caserta e di Napoli, iniziando da quanto avvenuto nel 1991 quando un autista italoargentino si feri' gravemente agli occhi mentre scaricava, in un terreno tra Villaricca e Qualiano, nel Napoletano, alcuni fusti con sostanze corrosive. Un evento che fu un primo campanello d'allarme. In quell'area, ha detto, sono state scaricati 520 fusti.

"Sulla carta tutto regolare"
I clan in quegli anni capirono che quello dello smaltimento dei rifiuti - soprattutto degli industriali e delle sostanze nocive - poteva essere un business da centinaia e centinaia di milioni di lire al mese. Un affare dapprima trascurato che, secondo Schiavone, iniziava a fare gola a tutti. Scarti industriali provenienti dal nord con una lunga teoria di camion, che viaggiavano attraverso le strade di mezza Italia. 'Contratti' conclusi, ha detto Schiavone, da procacciatori che ben si sapevano muovere.
I rifiuti venivano scaricati di notte e le pale meccaniche vi spargevano velocemente sopra del terreno per far apparire cosi' tutto normale. Ma talvolta la spazzatura finiva anche a 20 o a 30 metri di profondita', ha raccontato ancora. Le scorie venivano da diverse regioni del Nord: sostanze che dovevano essere lavorate diversamente e che finivano puntualmente nel territorio della Campania. Schiavone ha detto che non lontano dalla statale Domiziana, in vasche profonde anche 40 metri, e' stato gettato di tutto. Spazzatura che sulle carte sarebbe dovuta finire in discariche autorizzate ma che invece finiva nei campi. Sulle carte pero' tutte le operazioni erano regolari.

Legambiente:"Ora le bonifiche"
Le rivelazioni di Schiavone hanno suscitato reazioni da piu' parti. Per Legambiente l'audizione dell'ex boss, sulla quale per tantissimi anni c'e' stato il segreto, e' come il segreto di Pulcinella: ha svelato cose, sempre a giudizio degli ambientalisti, che tutti sapevano. La vera partita ora si gioca sulle bonifiche e sull'individuazione di quelle aree che sono realmente avvelenate.

"Ministri in passerella"
Se e' vero che si tratta di circostanze gia' note, le frasi del pentito dei Casalesi confermano - secondo i residenti - anche omissioni decennali delle istituzioni. ''Schiavone ha detto che saremmo morti entro 20 anni? Noi siamo ancora qua - ironizza Renato Natale, ex sindaco di Casal di Principe - e le sue parole, gia' sentite piu' volte, suscitano in me solo perplessita' e sconcerto perche' mi chiedo come sia possibile che dal 1997 lo Stato non si sia mai fatto carico di bonificare realmente il territorio; o meglio, qualcosa e' stato fatto, ma ancora troppo poco. A Casale tante discariche a cielo aperto restano in strada, come e' accaduto in via Sondrio dove oltre un mese fa furono fatti degli scavi alla ricerca di rifiuti tossici. Ho scritto al commissario prefettizio ma non ho avuto risposta''.
Per Giovanni Zara, ex sindaco di Casapesenna sfiduciato dalla sua stessa maggioranza, "il dramma in tutti questi anni e' che le istituzioni non sono mai intervenute in quei terreni in cui erano stati sversati rifiuti, con gravi danni all'agricoltura e alla salute. Quando ero sindaco avrei voluto ripulire la variante San Cipriano-San Marcellino che passa per Casapesenna e dove vengono sversati soprattutto rifiuti speciali provenienti da aziende del posto, ma mi fu detto che quella zona non si poteva toccare. Bisogna aumentare i controlli sul territorio, ma le centinaia di telecamere installate non funzionano. Cio' che manca e' la volonta' politica".
Peppe Pagano, che a San Cipriano gestisce su un bene confiscato il ristorante Nco (Nuova Cucina Organizzata), al centro di un attentato a colpi d'arma da fuoco nei primi giorni del 2013, e' "completamente sfiduciato dalle istituzioni. Non so se siano vere le affermazioni di Schiavone, ma qui occorre ripristinare la fiducia nello Stato. Siamo stanchi di ricevere ministri che fanno passerella e, cosa piu' grave, distolgono l'attenzione dei cittadini sui reali problemi, dicendo per esempio che qui si muore a causa degli stili di vita".