sabato 31 agosto 2013

Via il #conflitto restano gli #interessi di #Berlusconi


VIA IL CONFLITTO RESTANO GLI INTERESSI.

Il predominio berlusconiano sui mezzi di comunicazione continua a far danni. Non tanto per la propaganda a favore del Cavaliere. Ma per la creazione di un comune sentire ad personam che ha stravolto tutto. di Marco Travaglio, da L'Espresso, 30 agosto 2013 Nel 1995 l'Italia votò i referendum per una severa antitrust nel mercato della tv e della pubblicità. Ma il combinato disposto fra il solito disimpegno della sinistra per il Sì e il bombardamento delle reti Fininvest per il No li fece fallire: il 55-57 per cento degli italiani votò per lasciare le cose come stavano. Norberto Bobbio osservò amaro: «Il motivo principale per cui Berlusconi ha vinto il referendum che tendeva a diminuire il suo potere televisivo è stato il fatto stesso che aveva questo potere» e invitò i promotori a continuare la lotta contro la legge Mammì, perché l'esito dei referendum «è la prova che avevano ragione coloro che vi si sono opposti... e continueranno a opporsi con maggiore abilità, spero, per la sorte della nostra democrazia». Sono trascorsi 18 anni e il predominio berlusconiano sui mezzi di comunicazione ha continuato a far danni. Non tanto per la propaganda a favore del Cavaliere. Ma per la creazione di un "comune sentire" ad personam che ha stravolto tutto: la Costituzione, le leggi, la logica, perfino il buonsenso. La prova decisiva è proprio quanto sta accadendo dopo la sua prima condanna definitiva, al termine di un lungo inseguimento dei giudici iniziato ben prima del suo ingresso in politica. Oggi, per dire, si discute animatamente sulla sua permanenza o meno in Parlamento, in base a una legge Severino che ha visto spuntare dal nulla un nugolo di critici non appena s'è posto il problema di applicarla a lui. Senza il supporto dei suoi giornali e tv, il Cavaliere pregiudicato sarebbe disarmato di argomenti: nessun giornale indipendente sarebbe andato a scovare presunti giuristi disposti ad affermare che il decreto varato otto mesi fa per escludere i condannati dal Parlamento non vale per chi i reati li ha commessi prima. Se, poniamo, si facesse una legge per vietare ai condannati per pedofilia di insegnare nelle scuole, nessuno si sognerebbe di sostenere che un pedofilo è stato condannato ingiustamente, o di pedinare e screditare i giudici che l'han condannato, o di chiedere che continui a insegnare perché ha molestato bambini prima del varo della legge. Specie se il pedofilo avesse votato la legge che esclude i pedofili dall'insegnamento. E se il pedofilo pretendesse di restare fra i banchi di scuola, verrebbe massacrato da tutta la stampa, con ampi particolari del suo gravissimo delitto. Ma un pedofilo non farebbe mai una cosa simile: anzi sparirebbe per la vergogna della condanna. Difficilmente infatti controllerebbe giornali e tv, stipendiandone i giornalisti. Invece, mutatis mutandis, è proprio per questo che tanti giornali e tv pedinano e screditano i giudici che han condannato Berlusconi (costringendoli a replicare e poi dicendo che parlano troppo e sono "schierati"); occultano totalmente il suo gravissimo reato; e sostengono che la legge da lui stesso votata otto mesi fa su decadenza e incandidabilità dei condannati per lui non vale: il condannato quei giornali e tv li possiede e quei giornalisti li stipendia. Infatti, anziché andare a nascondersi per la vergogna di una condanna per frode fiscale, tiene comizi, rifonda partiti, raduna truppe, detta condizioni al governo, al parlamento e al capo dello Stato. E tutti lo stanno a sentire. Anche le figure e le testate "indipendenti" o "terziste", che confondono l'imparzialità con l'ignavia e ritengono che la giusta posizione sia sempre la via di mezzo fra la sua e quella dei suoi avversari. Così, più sono insensate, illegali, incostituzionali, illogiche le posizioni di Berlusconi, più si spostano verso di lui gli "indipendenti" e i "terzisti". I quali vent'anni fa davano per scontata l'ineleggibilità di chi aveva il conflitto d'interessi e l'esigenza di una legge per eliminarlo, mentre oggi l'hanno rimosso e ne sono le vittime più o meno consapevoli. Infatti, sempre in equilibrio fra i pro e i contro, dibattono sul diritto del condannato a restare (e a tornare per l'ottava volta) in Parlamento, senza più rammentare che in Parlamento non avrebbe mai potuto entrarci, neppure da incensurato. Il conflitto d'interessi è alla sua massima apoteosi, ma nessuno lo nota più: proprio a causa del conflitto d'interessi.

Chiusa l '#indagine su #Tiscali su #bilanci #alterati


Chiusa l’indagine su Tiscali. La Procura: “Cinque anni di bilanci alterati”

Tutti i bilanci, per cinque anni consecutivi, non rispondenti al vero. In modo tale da rappresentare una situazione economica diversa, in misura significativa, da quella reale. Questa la conclusione dell’inchiesta della procura della Repubblica di Cagliari su “Tiscali” e “Tiscali Italia” e su quanti hanno svolto ruolo di amministrazione delle due società: l’ex governatore Renato Soru e altri sette manager che si sono succeduti dal 2008 al 2012. L’arco temporale durante il quale i bilanci delle due aziende sarebbero stati redatti in modo tale da configurare il reato di “false comunicazioni sociali” è la principale novità di un’inchiesta che aveva avuto una svolta decisiva nella primavera scorsa quando il pubblico ministeroAndrea Massidda aveva deciso di archiviare le posizioni di quindici dei diciotto indagati iniziali, andando avanti negli accertamenti su Soru e su altri due manager. Qualche settimana dopo erano entrati nell’indagine altri cinque ex amministratori. Nel dare la notizia della chiusura delle indagini, l’Unione sarda oggi in edicola chiarisce che l’altro reato ipotizzato inizialmente, quello di aggiotaggio, è invece caduto definitivamente. Resta, appunto, quello di false comunicazioni sociali che è punito con l’arresto fino a due anni e con una serie di misure interdittive: “la sanzione amministrativa da dieci a cento quote e l’interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese da sei mesi a tre anni, dall’esercizio dell’ufficio di amministratore, sindaco, liquidatore, direttore generale e dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili societari, nonché da ogni altro ufficio con potere di rappresentanza della persona giuridica o dell’impresa“. La redazione di documenti contabili non rispondenti al vero sarebbe andata avanti, nell’ipotesi della procura, fino al 2012, cioè sarebbe proseguita anche mentre l’indagine era già in corso. E sarebbe cominciata quando Renato Soru era ancora governatore della Sardegna e dunque in regime di “blind trust”. Oltre che all’ex governatore la chiusura delle indagini (un atto che precede la richiesta di rinvio a giudizio) è stata notificata a Mario Rosso, Romano Fischietti,Ernesto Fara, Salvatore Pulvirenti, Luigi Scano, Andrea Podda, Roberto Lai. La stessa accusa è riferita anche alle due società. L’inchiesta era partita dallo scorporo, avvenuto nel 2005, dalla società madre Tiscali Spa di Tiscali Italia e di Tiscali service. Scorporo che aveva determinato l’inserimento in bilancio di una plusvalenza di 162 miloni di euro. In quella stessa fase iniziale dell’indagine era stata avanzata l’ipotesi, ora caduta, del reato di aggiotaggio. L’inchiesta – nella quale ha avuto un ruolo determinante l’analisi dei documentati contabili svolta su incarico della procura da Luciano Quattrocchio, docente di diritto commerciale a Torino – ha prodotto delle ramificazioni. Da essa, infatti, è scaturita quella per evasione fiscale a carico di Renato Soru (il quale è stato già rinviato a giudizio: il processo è stato fissato per il 24 maggio dell’anno prossimo) con la scoperta della complessa costruzione societaria realizzata tra Londra, sede sociale di Andalas ldt, la società attraverso la quale Soru controllava la sua quota di Tiscali, e le Isole Vergini britanniche dove aveva sede Mediacom ldt, a sua volta controllante di Andalas. Per questa vicenda Soru ha raggiunto un accordo con l’agenzia delle entrate che prevede la restituzione da parte sua di sette milioni di euro. Lo svolgimento dell’inchiesta negli ultimi mesi ha incrociato le vicende politiche isolane. Renato Soru, infatti, aveva annunciato che al contrario di quanto fece in occasione della vicenda Saatchi & Saatchi (dalla quale è stato assolto, ma prima di Ferragosto il procuratore generale ha ricorso per Cassazione) non avrebbe atteso le decisioni definitive della magistratura per decidere se candidarsi o meno come governatore alle prossime Regionali. Qualche giorno dopo questo annuncio (che faceva riferimento all’inchiesta per l’evasione fiscale), arrivò la decisione della procura di Cagliari di non archiviare l’indagine che adesso si è chiusa. A fine luglio Soru ha annunciato la sua rinuncia. Che ha attribuito a valutazioni di carattere esclusivamente politico.

Perché #Inps dovrebbe #prestarmi i #miei soldi

#prepensionamenti #Inps #pensioni

Perchè l'INPS dovrebbe prestarmi i miei soldi?

Immaginamo per un momento di essere un signore che abbia lavorato tutta la vita, pagato sempre tutti i contributi e per mia sfortuna rientrato nella riforma (doverosa, sia chiaro) pensionistica della Fornero. Si è visto quindi posticipare il pensionamento da un giorno all'altro e ovviamente la cosa non gli è piaciuta. Ha sempre fatto lavori pesanti che lo hanno logorato fisicamente. L'azienda per la quale lavorava è fallita, quindi ad oggi si ritrova senza lavoro ma troppo giovane per andare in pensione (mancano poco più di due anni). Compra (anzi, trova meglio) dire un giornale, IlSole24Ore, mentre si trova in stazione e legge testuali parole del Ministro del Welfare (parola a lui sconosciuta visto che non conosce una parola di inglese), Enrico Giovannini: "Chi è a 2-3 anni dal pensionamento e lascia il lavoro potrebbe per tale periodo ricevere un sostegno economico, che poi dovrà ripagare negli anni successivi. Si tratterebbe di una sorta di prestito, senza costi aggiuntivi sul sistema pensionistico" I suoi problemi sarebbero risolti no? Nessuno lo assumerebbe alla sua età (ha superato i 50 da un bel pezzo). Qual miglior occasione per andarsene in pensione un paio di anni prima? Passato il primo momento di felicità però, a mente fredda, legge meglio il tutto inizia a ragionare: "ricevere un sostegno economico, che poi dovrà ripagare negli anni successivi". Ciò vuol dire che la sua pensione, già non molto alta (anche perchè non ha versato i contributi per i 2 anni e passa che gli mancano più il tempo da disoccupato) sarà più bassa in quanto dovrà restituire più di due anni di "stipendio". Tutto ciò viene giustamente definito come una sorta di prestito. In pratica quindi, l'INPS non fa altro che prestare al signore un ammontare X oggi, che dovrà essere restituito mese dopo mese in un tempo che va da t a t+1. Come un prestito che si chiede alla banca, però (a quanto pare) senza interessi aggiuntivi. Al che il nostro signore si domanda "Io ho pagato tasse e contributi altissimi all'INPS, però devo lavorare di più perchè l'INPS stesso è in rosso per la cattiva gestione pubblica e si è mangiato il mio fondo pensione e grazie al benessere e alla ricerca scientifica l'aspettativa di vita è aumentata. Ora mi dicono che, siccome nessuno vuole assumermi, mi presteranno due anni di pensione. Però io i miei contributi gli ho versati, sono loro che se li sono gestiti male. In teoria io li avrei già..sono soldi miei no? Perchè mai allora l'INPS dovrebbe prestarmi i miei soldi?" Ecco, bella domanda...

# notav #Davide e #Paolo #liberi

Forgi e Paolo due di noi, resistere è giusto!

Agosto 2013: la devastazione della Val di Susa continua. Il governo Letta (PD-Pdl) fa finta di litigare, ma rimane unito nelle sue decisioni contro il paese e si accoda ad una nuova inutile guerra al seguito degli Stati Uniti. Notizia degli ultimi giorni: il Ministero dell'Università e della Ricerca metterà 500 milioni di euro per la costruzione dei nuovi caccia Eurofighter mentre ogni anno macano i soldi per le borse di studio. Ma i riflettori vengono puntati sul movimento NoTav per montare un nuovo caso mediatico di criminalizzazione dell'opposizione ad un'opera devastante, costosa ed inutile. L'ultima settimana al campeggio NoTav di Venaus è stata caratterizzata da dibattiti ed assemblee organizzate all'interno dell'iniziativa “Val di Susa, l'università delle lotte”. Una settimana in cui studenti universitari/giovani precari si sono incontrati per discutere di temi che vanno dall'università, al reddito, da Gezi Park alla condizione dei giovani in questo paese. Non abbiamo dimenticato di mettere in piedi un'iniziativa di lotta contro l'inutile devastazione del cantiere di Chiomonte, come nella più classica tradizione NoTav. Poco prima dell'iniziativa le forze dell'ordine hanno fermato Davide “Forgi” e Paolo due ragazzi, nostri compagni, che hanno partecipato alla settimana di discussione. Subito è scattato il meccanismo repressivo e di criminalizzazione: detenzione di materiale esplosivo, molotov, bombe, razzi (ci mancano i missili Tomahawk). Il Procuratore Caselli scende in campo e presenzia alla conferenza stampa, riproponende lo squallido paragone tra le legittime pratiche di resistenza del movimento No Tav al più infame dei crimini: la violenza sessuale. E già che c'è, non manca di mettere sull'attenti intellettuali e altre personalità pubbliche che osano insinuare il dubbio e mettere al centro la natura politica di questo conflitto. I media gli vanno dietro, giocando sulla confusione: immagini d'archivio e momenti della conferenza stampa; bottiglie di plastica diventano molotov (!?!); si parla di un "assalto al cantiere" che non c'è stato... ma ormai nessuno si scandalizza più: quando si parla di no tav non serve andare per il sottile. Come al solito questura e stampa prezzolata si dimenticano dei veri problemi del paese per attaccare chi lotta per la propria terra trasformando ed esagerando la realtà. Rivendichiamo il diritto alla resistenza contro un'opera inutile e devastante e la legittimità di lottare contro la devastazione portata dal cantiere-fortino. Se errori ci sono stati, ce ne assumeremo la responsabilità politica di fronte al movimento NoTav, non davanti a inquisitori, gazzettieri e a chi, comodamente seduto dietro a una tastiera, lancia anatemi e avanza insinuazioni. Forgi e Paolo sono due studenti, compagni generosi presenti nelle lotte. Chi ha attraversato l'estate di lotta in Val Susa ha imparato a conoscerli e ad apprezzarli per la determinazione nella difesa di un futuro che vogliamo di tutt* e non di poch*. Solidarietà a Forgi e Paolo! Forgie Paolo liberi! Liber*tutt* ! Collettivi universitari, studenti e studentesse partecipanti al campeggio "L'università delle lotte”

#m5s #Grillo e la questione #prosciutto

E ora Grillo attacca il prosciutto!

Beppe Grillo dice di essere «stanco di essere gandhiano» e chiede al movimento 5 stelle di scendere in piazza nel prossimo autunno per difendere la Costituzione. Ormai l'esternazione è quotidiana da parte del leader pentastellato. Che ieri dal suo blog è tornato di nuovo a sparare a zero contro tutto e tutti, senza salvare nemmeno il prosciutto di Parma e il parmigiano reggiano, due eccellenze della gastronomia italiana messe in pericolo, a suo dire, dall'accensione dell'inceneritore di Parma, lo stesso che Grillo aveva giurato ai suoi elettori che non sarebbe mai stato usato. «Chi mangerà prosciutto e parmigiano alla diossina?» ha chiesto ieri il leader attirandosi le critiche dei produttori e del ministro dell'Agricoltura De Girolamo. Ma è meglio andare con ordine. «Io sono stanco di essere gandhiano, di osservare leggi fatte per favorire i delinquenti», scrive Grillo sul blog. «Dietro il M5S ci sono nove milioni di voti, ma questi, che hanno occupato ogni posto di potere, se ne sbattono i coglioni», prosegue il capo lamentandosi perché alla Camera e al Senato il suo movimento non viene perso in considerazione da nessuno visto che tutte le proposte avanzate finora sarebbero state ignorate. «Prendo atto che noi non esistiamo - prosegue - che ogni legge partorita da loro , in particolare quella elettorale, è contro di noi e per la loro sopravvivenza». Poi rivendica di aver proposto l'abolizione del Porcellum e di essere stato ignorato. Salvo poi sposarlo in pieno e chiedere da settimane di andare al voto proprio con la legge elettorale che tanto diceva di detestare. «Sono stanco di farmi prendere per il culo da questi incapaci, spocchiosi, intellettualmente depravati che hanno distrutto l'Italia. Sono stanco, ma di quella stanchezza che matura l'incazzatura formidabile», prosegue con toni minacciosi. Senza far mancare le accuse nei confronti del Colle. «La coppia Violante&Napolitano ha forse trovato il cavillo mancante per salvare un pregiudicato con il rinvio della legge Severino alla Corte Costituzionale». Da qui l'invito al popolo 5 stelle a scendere in piazza, fatta sempre sul blog dai gruppi di Camera e Senato. Non si fanno date, ma l'invito è di manifestare in autunno contro «il trappolone» starebbero preparando a danno della Costituzione. «Il 6 settembre inizierà alla Camera la discussione sulla modifica dell'articolo 139 della Costituzione, l'articolo cassaforte che stabilisce come si cambia la nostra Carta - scrivono i parlamentari stellati -. Tre giorni dopo, il 9, si voterà e poi di corsa in discussione al Senato: in quattro e quattr'otto, perché c'è urgenza di presidenzialismo». L'ultima esternazione della giornata Grillo la riserva al prosciutto di Parma e al parmigiano reggiano. E rischia di mettere in difficoltà un settore che fattura complessivamente 3,5 miliardi di euro. Dopo l'accensione dell'inceneritore, dice , Pd e Pdl «esultano per le neoplasie future degli abitanti di Parma, per il cibo avvelenato della Food Valley». E ancora: «Chi mangerà in futuro parmigiano e prosciutti imbottiti di diossina? L'inceneritore è inutile e brucerà rifiuti provenienti da ogni dove, ma loro sono contenti». Parole che fanno infuriare il presidente del Consorzio parmigiano reggiano, Giuseppe Alai: «Spiace davvero questa azione di terrorismo nei confronti dei nostri consumatori» dice, mentre il ministro dell'Agricoltura De Girolamo definisce «un incosciente» il leader del M5S.

#esodati #pensioni #accordi #dldelfare

Mobilitati - esodati: sempre lontana una soluzione accettabile.

Il Governo aggiunge altri 6.500 tutelati, una goccia nell’oceano e una nuova presa in giro. Nel consiglio dei ministri del 28 agosto, assieme ai provvedimenti per abolire l’Imu nel 2013 sulla prima casa il governo ha approvato altri due provvedimenti che ci interessano più da vicino. Il primo riguarda il finanziamento della Cigs in Deroga per ulteriori 0,5 Miliardi di € e il secondo riguarda la tutela di ulteriori 6.500 esodati. Si tratta di misure che sono una goccia nell’oceano e che rappresentano una nuova presa in giro per i lavoratori. Sugli esodati il comunicato del Governo dice testualmente: Il decreto interviene a sostegno dei lavoratori cosiddetti “licenziati individuali” che hanno interrotto il proprio rapporto prima dell’applicazione della riforma sulle pensioni e che per effetto di essa si sono trovati al contempo privi di stipendio e di pensione. Si tratta di 6.500 persone. Si tratta come di una platea molto ristretta e particolare di lavoratori licenziati in modo individuale; si potrà poi capire dalla lettura del decreto e dalle circolari esplicative dell’Inps come e quando la tutela prenderà forma. Con questi, i lavoratori esodati e mobilitati che sono tutelati ammontano a 136.630 contenuti in ben 4 decreti ( 65.000 + 55.000 + 10130 + 6.500). Non solo i numeri sono pochi, ma l’applicazione dei decreti è alquanto complicata. Basti pensare che dei tre decreti precedenti solo il primo relativo ai 65.000 è applicato quasi per intero, mentre i decreti sui 55.000 e sui 10.130 sono ancora in una fase istruttoria. Inoltre ai lavoratori esodati e mobilitati, tutelati dai decreti sopra citati, con il decreto del 5 gennaio 2012 era stato promesso il prolungamento della mobilità per i periodi mancanti, ma di questi soldi nel 2013 non si è visto nemmeno l’ombra. Siamo sempre lontani da una soluzione accettabile Anche questo Governo dimostra di non affrontare seriamente i problemi veri dei lavoratori. La battaglia che abbiamo iniziato fin dal del 2011 aveva ed ha l’obiettivo di consentire a tutti i lavoratori espulsi dalle aziende a vario titolo di andare in pensione con le regole in vigore prima della legge Fornero. Per fare questo è necessario modificare la legge sulle pensioni. Invece di fare questo i partiti continuano a promettere molto e a fare solo piccoli aggiustamenti, che non risolvono la fregatura rifilata a migliaia di lavoratori. La cosa più ridicola è che i fondi stanziati dovranno essere verificati anno per anno e pertanto non c’è nulla di certo. www.cub.it – www.cubvideo.it e mail cub.legnano@gmail.com

#tariffe #inflazione




Le tariffe locali soffiano sull'inflazione. Indagine Unioncamere






Meno elettricita' e gas, piu' acqua potabile,rifiuti e trasporti extra-urbani: e' questo il mix che, secondo un'analisi di Unioncamere, a cavallo tra 2012 e 2013, ha mantenuto su livelli sostenuti l'inflazione tariffaria e pesato su bilanci delle imprese e portafogli delle famiglie italiane. L'andamento tendenziale tra maggio 2012 e maggio 2013 si mantiene infatti al di sopra del 3%, soprattutto per le tariffe a controllo locale, cresciute in media del 4,9% nel periodo in esame, ben piu' di quelle a controllo nazionale (+3,5%). 'Per rilanciare i consumi e accompagnare i segnali di ripresa dell'economia - dice il presidente di Unioncamere, Ferruccio Dardanello - e' indispensabile rallentare la corsa di tasse e tariffe, a cominciare da quelle locali. I tanti, piccoli mercati protetti che ancora resistono riducono il potere d'acquisto di famiglie e imprese e sono un freno alla ripresa”. Il quadro delle tariffe mostra andamenti molto differenziati: restano sotto tensione i servizi pubblici locali, sui quali pesano i tagli ai trasferimenti agli enti territoriali (Regioni, Province, Comuni) disposti dall'amministrazione centrale. Gli incrementi delle tariffe locali tendono a concentrarsi sul settore dei trasporti: l'ultimo dato disponibile (maggio) stima un +5,3% tendenziale per il trasporto urbano e +9,3% per i collegamenti extra urbani. Seguono a ruota i corrispettivi dell'acqua potabile (cresciuti in media del 6,7% tra maggio 2012 e maggio 2013) e dei rifiuti urbani (+4,7% nello stesso periodo). Ma pesano anche taxi +5,2%, e i rifiuti +4,7% nel periodo. Nel quadro delle tariffe nazionali, aumenti particolarmente consistenti si sono registrati per le tariffe telefoniche (+9.9%), i pedaggi autostradali (+4,1%), le tariffe postali (+10,1%) mentre sono in calo i trasporti ferroviari (-1,3%).

#aumento #Iva



Con aumento Iva famiglie meno abbienti più penalizzate





In termini assoluti saranno i percettori di redditi elevati a subire l’aggravio di imposta più pesante. Infatti, ad una maggiore disponibilità economica si accompagna una più elevata capacità di spesa.
La situazione si trasforma completamente se si confronta, come ha fatto l’Ufficio studi della CGIA, l’incidenza percentuale dell’aumento dell’Iva sullo stipendio netto annuo di un capo famiglia. Ebbene, l’eventuale aumento dell’imposta peserà maggiormente sulle retribuzioni più basse e meno su quelle più elevate. A parità di reddito, inoltre, i nuclei famigliari più numerosi subiranno gli aggravi maggiori.

“Bisogna assolutamente trovare la copertura per evitare questo aumento – esordisce Giuseppe Bortolussi segretario della CGIA di Mestre – non si possono penalizzare le famiglie ed in particolar modo quelle più in difficoltà. Nel 2012 la propensione al risparmio è scesa ai minimi storici. Se dal primo ottobre l’aliquota ordinaria del 21% salirà di un punto, subiremo un ulteriore contrazione dei consumi che peggiorerà ulteriormente il quadro economico generale. E’ vero che l’incremento dell’Iva costa 4,2 miliardi di euro all’anno, ma questi soldi vanno assolutamente trovati per non fiaccare la disponibilità economica delle famiglie e per non penalizzare ulteriormente la domanda interna”.

Le simulazioni realizzate dalla CGIA riguardano tre tipologie famigliari (single, lavoratore dipendente con moglie e un figlio a carico, lavoratore dipendente con moglie e 2 figli a carico). Per ciascun nucleo sono stati presi in esame 7 fasce retributive: in relazione alla spesa media risultante dall’indagine Istat sui consumi delle famiglie italiane, su ognuna è stato misurato l’aggravio di imposta in termini assoluti e l’incidenza percentuale dell’aumento dell’Iva su ogni livello retributivo.

In queste simulazioni si sono tenute in considerazione le detrazioni e gli assegni familiari per i figli a carico, le aliquote Irpef e le addizionali regionali e comunali medie nazionali. A seguito dell’aumento dell’aliquota Iva al 22%, si è ipotizzata una propensione al risparmio nulla per la prima fascia di reddito, pari al 2,05% per il reddito annuo da 20.000 euro, del 4,1% per quella da 25.000 euro e dell’ 8,2% per le rimanenti fasce di reddito. Quest’ultima percentuale corrisponde al dato medio nazionale calcolato dall’Istat nell’ultima rilevazione su base nazionale. In buona sostanza si è ipotizzato che a fronte dell’aumento dei prezzi di beni e servizi a ridurre le spese saranno principalmente le fasce di reddito medio-alte. Infine, l’analisi della CGIA non ha considerato eventuali spinte inflazionistiche che una scelta di questo tipo potrebbe produrre.

1) Single

I 7 casi riguardano un lavoratore dipendente. L’incidenza percentuale dell’aumento dell’Iva sullo stipendio netto annuo si farà sentire maggiormente per le fasce meno abbienti. Infatti è dello 0,29% su un reddito annuo di 15.000 euro, si abbassa allo 0,27% su un reddito annuo di 55.000 euro. In termini assoluti l’aumento di imposta cresce man mano che aumenta il livello retributivo. L’aggravio oscilla tra i 37 e i 99 euro.

2) Lavoratore dipendente con moglie ed 1 figlio a carico

Nei 7 casi presi in esame l’incidenza percentuale dell’aumento è inversamente proporzionale al livello di reddito. E’ dello 0,33% per un reddito annuo di 15.000 euro, scende allo 0,30% per un reddito di 55.000 euro. In termini assoluti l’aggravio d’imposta, man mano che cresce il reddito, sale da 51 a 113 euro.

3) Lavoratore dipendente con moglie e 2 figlio a carico

Anche in questa tipologia famigliare l’incidenza percentuale dell’aumento dell’Iva è inversamente proporzionale al livello di reddito. Si attesta allo 0,34% su un reddito annuo di 15.000 euro, diminuisce fino a toccare lo 0,31% su un reddito di 55.000 euro. Man mano che cresce il reddito, in valore assoluto la maggiore Iva annua passa da 61 a 120 euro.

Da queste simulazioni emerge un altro risultato molto intuitivo: a parità di reddito, più aumenta il numero dei componenti di una famiglia, più si fa sentire il peso dell’aumento dell’Iva.

#lavoronero #lavorostagionale



Riviera romagnola: con l'incremento della produzione aumenta lo sfruttamento e il lavoro nero

comunicato Stampa Adl Cobas Emilia Romagna e Ass. Rumori sinistri. 





L'assessore provinciale al turismo, Fabio Galli, ha comunicato i dati provvisori relativi agli arrivi e alle presenze turistiche del mese di luglio nella provincia di Rimini: + 1,6% i primi e + 0,2% le seconde.
Galli ha trasmesso alla stampa locale la seguente nota: “Finalmenteuna notizia che infonde un po' di sollievo anche se poi le analisi che andranno fatte nelle prossime settimane dovranno essere approfondite e puntuali”.
Si registra, pertanto, un incremento sia degli arrivi sia delle presenze, ma al contempo si è si manifestata una diminuzione dei contratti di lavoro stagionali e del numero degli occupati nel turismo, come ha mostrato il Centro studi Politiche del lavoro e società locale della Provincia di Rimini. Nella sintesi del rapporto sugli avviamenti nel primo semestre si evince una drastica riduzione delle assunzioni nel settore turistico, con un calo del 9% rispetto allo stesso semestre dello scorso anno.
E' solo apparentemente un'incongruenza, difatti una buona parte delle assunzioni, avviene in nero. Mai, come quest'anno abbiamo infatti registrato - attraverso le segnalazioni pervenute con la “Campagna per l'emersione del Lavoro Gravemente Sfruttato” - un numero così alto di lavoratori stagionali che hanno lavorato in assenza di contratto.
A questo si aggiunge tutta quella parte di contratti la cui applicazione è irregolare, vale a dire contratti part-time e a chiamata che celano in realtà un rapporto di lavoro subordinato che va bel oltre il full-time: 12/13 ore giornaliere e mancato rispetto del giorno di riposo settimanale.
Possiamo pertanto affermare che l'aumento della produzione diviene proporzionale all'aumento dello sfruttamento.
A ciò si aggiungono quei dispositivi esercitati sui lavoratori stagionali: la minaccia, il ricatto, la violenza e l'azzeramento di tutti i diritti, compreso quello alla salute e all'igiene nei luoghi di lavoro.
I controlli degli enti statali presso le aziende non risolvono il problema della precarietà e del grave sfruttamento lavorativo, ma sono funzionali solo a regolarizzare “parzialmente” le posizioni.
Si registra un aumento della produttività dovuto ai controlli della Guardia di Finanza sull'evasione fiscale e la tassa di soggiorno e al contempo diminuiscono i dati degli avviamenti nel turismo. Quindi risulta evidente come i controlli degli ispettori del lavoro non sono sufficienti per combattere il cancro del Lavoro Gravemente Sfruttato nella provincia di Rimini, per ragioni quantitative e qualitative delle medesime ispezioni
Gli undici lavoratori dell'hotel Nuova Riccione, scoperti in nero o in assunzioni tramite voucher, sono stati regolarizzati tramite l'applicazione di contratti part-time, che nascondono in realtà un ammontare di ore ben diverso e un rapporto di lavoro di altra natura. Ovvero, l’intervento dell’Ispettorato del Lavoro è stato utile a risolvere il problema del lavoro nero e non certo del Lavoro Gravemente Sfruttato ed irregolare.
Per denunciare la continuazione dell’irregolarità, alcuni lavoratori stagionali, grazie alle indicazioni ricevuta dall’ADL COBAS, si sono presentati negli uffici della DTL di Rimini ed hanno integrato le loro dichiarazioni rispetto al primo verbale reso durante l'ispezione del 22 giugno. Solo attraverso quest’ azione, è potuta emergere un’illegalità che non si ferma nel momento in cui l'azienda è stata colta in flagranza, e sulla quale sono applicate le sanzioni, ma che continua nonostante e oltre le ispezioni.
La stampa locale ci ha informato nei giorni scorsi di otto lavoratori assunti tramite una società che gestisce una struttura alberghiera, rimasti senza stipendio da maggio. Si tratta di un passaggio di società, la cui finalità molto spesso è quella di agire l'insolvenza del salario.
Gli otto lavoratori si sono rivolti a un'organizzazione sindacale, che si è limitata ad inviare all'azienda le lettere di sollecito dei pagamenti degli stipendi arretrati. Una semplice missiva di sollecito non è una prassi adeguata per ottenere il rispetto dei diritti, ma non incide nemmeno materialmente sulla pelle degli sfruttatori che derubano i lavoratori e si arricchiscono con questo furto ai danni di tutta la comunità. Sarebbe stato lodevole da parte delle stessa organizzazione sindacale invitare i lavoratori a bloccare la produzione dei servizi e produrre un conflitto diffuso contro i capitalisti del turismo e gli amministratori che hanno favorito nel tempo queste prassi con la scusa che il turismo è un importante ammortizzatore sociale del territorio.
A quanto pare, attivare buone prassi ed agire il conflitto, sono cose che i sindacati confederali non faranno mai.
Una ricerca di Trivago evidenzia come nella stagione 2013 si siano registrati in tutta la riviera prezzi al ribasso rispetto alla stagione precedente per alloggiare negli alberghi romagnoli ( Bellaria-Igea Marina e Cattolica che scendono del’11%, Cesenatico -6% e Rimini e Riccione a -5% ) a differenza di altre località turistiche/balneari italiane.
Questa ricerca, di certo non di parte, riconferma quello che diciamo da anni, ovvero che i servizi a basso costo si reggono esclusivamente sul furto dei salari dei lavoratori stagionali in nero, precarizzati e senza diritti, mentre i sindacati confederali manifestano per difendere lo status quo, ovvero il contratto collettivo nazionale del turismo, l'ultimo baluardo della storia novecentesca che in questo territorio non è mai stato applicato. E’ necessario mettere in campo una difesa serrata e determinata del contratto nazionale del Turismo come limite allo sfruttamento, giorno per giorno, azienda per azienda, attraverso la presenza fisica di cittadini e sindacalisti solidali con i lavoratori che esigono il rispetto dei diritti. Il contratto nazionale del Turismo è un istituto centrale e violato nel 99% degli alberghi della provincia di Rimini per una serie di ragioni storiche. Da un lato la mancanza di pratiche di lotta e di conflitto sociale contro gli sfruttatori, raramente promosse dalle strutture sindacali locali, e dall’altro una cultura dell’illegalità legittimata e tollerata dalle istituzioni locali.
ADL Cobas Emilia Romagna - Ass. Rumori sinistri Rimini

Renato Biagetti 7 anni fa'

Con #rabbia e con #amore

venerdì 30 agosto 2013

#undicesimo #forum di #sbilanciamoci

Undicesima edizione del Forum di Sbilanciamoci!

“L’impresa di un’economia diversa”. Loro a Cernobbio noi a Roma.

Già nel 2010 il premio Nobel per l’economia Stiglitz spiegava come il motivo di fondo della crisi esplosa con la bolla dei mutui subprime fosse legato a una pessima e sempre peggiore distribuzione del reddito negli USA. Da trent’anni una fetta sempre maggiore della ricchezza finiva ai profitti (profit share), mentre calava quella destinata al lavoro (wage share). Un processo comune a tutte le economie occidentali, e particolarmente sentito in Italia, dove in meno di vent’anni qualcosa come 120 miliardi di euro, l’8% del PIL, si è spostato dal lavoro ai profitti. In un’economia fondata su una continua crescita dei consumi, come fare a vendere sempre di più a famiglie e lavoratori sempre più poveri? La soluzione è stata trovata dall’ingegneria finanziaria, con la creazione di strumenti e prodotti finanziari, dai derivati alle cartolarizzazioni, dal sistema bancario ombra alla leva finanziaria, che hanno permesso una crescita ipertrofica della massa di denaro e di debiti, in modo da drogare la crescita del PIL. Nelle parole di Stiglitz, “l’economia globale aveva bisogno che i consumi, in crescita costante, continuassero ad aumentare. Ma come sarebbe stato possibile, se il reddito era in piena stagnazione da anni? Gli americani avevano escogitato una soluzione ingegnosa: prendere soldi in prestito e consumare come se i loro redditi fossero in crescita”. In altri termini le disuguaglianze di reddito come motivo di lungo periodo dello scoppio di una crisi che ha travolto l’Europa e ha portato in Italia otto trimestri consecutivi di recessione, la disoccupazione ai massimi storici, la rimessa in discussione di diritti dati per conquistati e acquisiti. A fronte di una tale situazione la risposta della Troika e delle istituzioni europee è una sola: piani di austerità e sacrifici per i cittadini che hanno già pagato diverse volte il costo della crisi, liquidità illimitata e a bassissimo costo per il sistema finanziario che ne è responsabile. Delle soluzioni che scaricano il peso della crisi sulle spalle dei più poveri, i primi a subirne le conseguenze sia in termini di reddito diretto sia per il taglio dei servizi essenziali. In altre parole delle soluzioni che stanno ulteriormente esasperando le disuguaglianze e aggravando i motivi che ci hanno condotto nella crisi stessa. Peggio ancora, l’austerità per i cittadini e la liquidità per la finanza stanno portando a un nuovo scollamento tra i valori degli attivi finanziari e quelli dell’economia “reale”, con il rischio di una nuova bolla finanziaria. Lanciati verso un baratro, ci chiedono di accelerare. Una situazione riassunta dal Direttore Esecutivo per la stabilità finanziaria della Banca d’Inghilterra, Andrew Haldane, secondo il quale “abbiamo assistito prima a una crisi indotta dalle disuguaglianze e, successivamente, a disuguaglianze indotte dalla crisi”. Davanti a un’Europa che continua imperterrita ad applicare una dottrina neoliberista che si è dimostrata fallimentare, in Italia assistiamo al desolante vuoto della politica, ferma al mantra “è l’Europa che ce lo chiede”. Per questo il Forum di Sbilanciamoci! che si svolgerà da venerdì 6 a domenica 8 settembre a Roma vuole ripartire dal tema delle disuguaglianze per aprire uno spazio di discussione e ipotizzare un percorso diverso per la finanza, l’economia, l’ambiente, il sociale, la democrazia. Diverse sessioni, in ognuna delle quali si cercherà di inquadrare la situazione europea, i problemi specifici dell’Italia, le possibili soluzioni legate a diverse politiche economiche, fiscali e monetarie e le risposte che stanno arrivando dal basso, dalle lotte per i diritti, il reddito e i beni comuni. Non a caso il Forum si terrà presso le Officine Zero e il Teatro Valle Occupato, due esperienze di autogestione e di lotta dal basso per la riappropriazione di spazi di democrazia. Una riflessione a 360 gradi su modelli di welfare, uso della leva fiscale e della spesa pubblica, finanziamento e gestione dei beni comuni, forme di altra economia, reddito universale di cittadinanza, politiche per la pace, riduzione del consumo di suolo, diritto allo studio, lotta alla precarietà. A completare il programma, venerdì sera un incontro tra i rappresentanti di alcune delle lotte più significative condotte oggi in Italia dalle lavoratrici e dai lavoratori, e il sabato sera la proiezione in anteprima nazionale dell’ultimo film di Ken Loach, “The spirit of ’45”. Per immaginare e iniziare a mettere in pratica un diverso percorso che possa portare a una radicale inversione di rotta per l’insieme della società, per spezzare la spirale di aumento delle disuguaglianze, perdita di diritti e recessione, appuntamento a Roma dal 6 all’8 settembre con Sbilanciamoci!

La # taser #fulmina #italiani

#servicetax #governo #largheintese

La Taser fulmina italiani!

E' giornata di strette di mano vigorose per i commensali del Governo delle larghe Intese. Sventata (temporaneamente?) l'ipotetica crisi interna tra Pd e Pdl, con la cancellazione dell' IMU molti i volti felici e contenti. Nel sorriso smagliante di Angelino Alfano ieri in Parlamento è incarnata la soddisfazione per la decisione di Letta e soci. Molto lontano dagli scranni del potere, hanno ben poco di che gioire Comuni e popolazione. Pure il "Financial Times" si dichiara sconcertato dall' impavidità dell' Esecutivo italiano: "una stabilità politica pagata a caro prezzo". Un paese blocato dal caso IMU per cento giorni: questione politica e non solo. I ceti abbienti risparmiano così un miliardo di euro. Cresce la sensazione diffusa che al di là del contentino elettorale per Berlusca e i suoi, ci sia in ballo molto di più. Ecco qui entrare in scena la Service Tax. Aldilà delle levate di scudi della prima ora, legalitarie e settoriali, va detto che già l'aver concepito una imposta di tale genere riveli la natura di un esecutivo che da una parte gioca a fare la bella faccia nei confronti di quella austera "lacrime e sangue" del precedente Governo Tecnico, dall'altra colpisce i ceti deboli cercando di affondare la lama nel silenzio. La sensazione di impunità e la relativa pacificazione sociale di cui gode questo neo-governo evidentemente gli consente di osare nell'aumentare la forbice di ineguagliaza e ingiustizia ad ampio raggio. Così, la Service Tax diviene una stangata a carico dei ceti meno abbienti, dato che è palese che chi vive in affitto in Italia è grossomodo già la fascia meno tutelata, quella per cui se salta lo stipendio a metà mese si rischia seriamente lo sfratto per morosità, senza conare le centinaia di migliaia di studenti fuori sede già massacrati da affitti, rette universitarie e i ricatti del carovita. Lo spettro della Service Tax, l'idea stessa di volere ulteriormente precarizzare la vita di milioni di persone (molto più dei tre milioni di affittuari di cui parla l'Unione Inquilini, se si tiene conto delle relazioni sociali ed economiche intrepersonali nel loro complesso) è sintomo di una accelerazione di quella che giustamente Globalist.it definisce "la politica di Robin Hood al contrario (togliere ai poveri per dare ai ricchi)". E' chiaro che non esiste alcuna soluzione compatibilista di fronte a una volontà politica che palesa l'intenzione di procedere a colpi di accetta, e che ogni tentativo di concertazione si riveli come parte del loro gioco al rialzo.

#sciopero dell'#hamburger #fastfood

#sciopero #McDonalds #USA

USA: lo sciopero degli hamburger paralizza i McDonald’s

In oltre sessanta città degli Stati Uniti, da costa a costa, ieri lo sciopero dei precari ha paralizzato i noti fast food per tutta la giornata. A scioperare non sono stati solo i dipendenti della McDonald's, ma anche di Kfc, Wendy, Burger King e di altre grandi catene della ristorazione spazzatura. La definizione ufficiale é quella di "Sciopero nazionale contro le paghe giornaliere basse", ma per tutti si tratta dello 'sciopero degli hamburger'. Da New York a Chicago, da Seattle a Detroit i lavoratori delle grandi catene di ristorazione low cost hanno incrociato le braccia dando vita allo sciopero più massiccio – e soprattutto visibile - nella storia recente degli Stati Uniti. L'obiettivo della loro mobilitazione, alla vigilia della festa del Lavoro di lunedì, è l'aumento del salario minimo ad almeno 15 dollari l'ora e il diritto a creare un'organizzazione sindacale autonoma, finora impedita dalla multinazionale. La giornata di ieri è stata l’ennesima mobilitazione dopo gli sciopero locali organizzati a più riprese nei mesi scorsi. Il primo è stato ad aprile, a New York e Chicago, organizzato dall'associazione 'Fast-food forward', e tanti altri ne sono seguiti, conquistando consensi e partecipazione. Fino allo sciopero di ieri, definito di svolta da numerosi media per l’estensione della protesta e il numero di lavoratori coinvolti. Per la prima volta una protesta difficile ha conquistato anche i lavoratori dei fast food del profondo sud, dove tradizionalmente i sindacati sono molto deboli e presi di mira da provvedimenti unilaterali. In alcune realtà come Memphis, in Tennessee, Raleigh in North Carolina e Tampa in Florida per la prima volta i 'fast-food workers', i ragazzi che passano ore a friggere patatine e hamburger si sono fermati. La loro situazione è insostenibile: la paga media della stragrande maggioranza di loro non arriva a 9 dollari l'ora, che vuol dire circa 18.500 dollari l'anno. Un salario da fame, circa 4.500 dollari in meno dei 23.000 dollari che secondo il Census Bureau, una sorta di Istat statunitense, rappresenta il livello minimo di sopravvivenza sopra la soglia di povertà per una famiglia di quattro persone. Ma c'è chi lavora ben più delle teoriche otto ore al giorno e guadagna anche meno: la Cnn racconta la storia di Latoya James, una ragazza madre di 24 anni che lavora in un McDonald's di Memphis, guadagna solo 7,45 dollari l'ora ed avendo due bambini é costretta a lavorare anche la notte per potersi pagare l'assistenza medica. Anche lei ha scioperato, diventando l’icona di una mobilitazione scattata dopo il fallimento dei tentativi di fare approvare dal Congresso un aumento della paga minima a livello nazionale. Mary Kay Henry, presidente internazionale della SEIU, sindacato dei dipendenti che ha fornito il proprio sostegno a questo sciopero, ha spiegato: “La maggior parte dei lavoratori hanno dei figli e devono portare avanti la propria famiglia, il loro salario medio è di 9,08 dollari l’ora, ovvero molto al di sotto della povertà per un dipendente che ha la possibilità di lavorare 40 ore alla settimana”. Da parte sua la multinazionale leader del settore, la McDonald’s, ha affermato che i suoi dipendenti “ricevono salari competitivi e hanno accesso a tutta una serie di vantaggi per i loro bisogni personali” mentre l‘Associazione nazionale dei ristoratori ha avvertito gli scioperanti che l’aumento del salario minimo a 15 dollari l’ora obbligherebbe i punti vendita ad utilizzare meno personale.

#banche #strozzini #mutui

RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO DA ATTAC ITALIA

Cassa Depositi e Prestiti, il babbo natale delle banche!

Tra il 2006 e il 2011, il valore dei mutui ipotecari era di 55 miliardi di euro annui. Tale valore è sceso a 26 miliardi nel 2012, paralizzando di fatto il mercato immobiliare. Con l'approvazione in questi giorni del nuovo «piano casa» da parte del Governo, scende in campo ancora una volta la Cassa Depositi e Prestiti, che con uno stanziamento di 4 miliardi di euro interverrà per favorire l'erogazione di mutui alle famiglie. Il vizio di fondo del ragionamento sta nella determinazione della causa della paralisi del mercato immobiliare, che, essendo dovuta, secondo il Governo, alla scarsa disponibilità di liquidità delle banche, necessita di una forte iniezione di carburante da parte di Cassa Depositi e Prestiti. Peccato che con le operazioni di rifinanziamento da parte della Banca Centrale Europea tra fine 2011 e fine 2012, le banche dell'eurozona siano state già rifocillate con ben 1000 miliardi di euro e che questi fondi (con interessi all'1%), invece di essere utilizzati per riaprire i rubinetti del credito siano serviti all'acquisto dei titoli di stato (con interessi al 6%) permettendo alle banche un enorme, facile e sicuro guadagno. La verità è che oggi le banche italiane, pur potendo finanziarsi sui mercati, preferiscono non farlo, creando la paralisi del sistema creditizio al preciso scopo di far intervenire il «babbo natale» della situazione : Cassa Depositi e Prestiti, ovvero il risparmio postale dei cittadini. È quanto succede da tempo sia per quanto riguarda le piccole e medie imprese (Pmi), sia per quanto riguarda gli aiuti alle popolazioni vittime del terremoto: sui giornali leggiamo che Cdp eroga aiuti alle une e alle altre. Quello che di fatto avviene è che Cdp eroga aiuti a tasso basso di interesse alle banche, le quali girano gli aiuti a tasso di interesse più alto ai destinatari, realizzando profitti da una semplice e garantita partita di giro. Con il nuovo «piano casa», i mutui concessi dalle banche per l'acquisto della casa avranno la garanzia di Cassa Depositi e Prestiti, la quale potrà anche acquistare obbligazioni bancarie nell'ambito di operazioni di cartolarizzazione di crediti derivanti da mutui garantiti da ipoteca su immobili residenziali. Detta in altri termini, le banche potranno liberarsi dei vecchi prestiti, trasformandoli in prodotti finanziari dei quali Cdp garantirà l'acquisto. Su scala enormemente ridotta, è lo stesso processo che ha innescato negli Stati uniti la crisi dei mutui subprime nel 2007-2008. Il nodo di fondo è tuttavia un altro. Il mercato immobiliare nel nostro paese non è bloccato per una vera o presunta crisi di liquidità delle banche; è fermo perché le politiche di austerità dei governi di «larghe intese e stretto consenso» hanno drasticamente ridotto le capacità di reddito e di acquisto delle famiglie, oltre ad aver reso «non bancabili» milioni di nuovi disoccupati e precari. E non saranno certo i 200 milioni -bontà loro- previsti dal suddetto piano per rendere più sostenibili gli oneri del mutuo e dell'affitto a risolvere il problema. Che da qualunque parte lo si prenda riporta al medesimo nodo di fondo: la società deve essere messa a disposizione della finanza o quest'ultima deve servire alla società? Se vale la seconda, alcune misure di rivoluzionario buon senso diventano sempre più ineludibili: il controllo dei capitali finanziari, la riappropriazione sociale della Cassa Depositi e Prestiti, la nascita di una banca pubblica per gli investimenti, la fuoriuscita dalle politiche di austerità. In una parola, la democrazia. *Attac Italia

#sindacati #europei no alla #riduzione dei #salari

#sindacato #europeo no alla #riduzione dei #salari

I sindacati europei dicono NO alla riduzione dei salari

Secco 'no' dei sindacati europei alla proposta di Olli Rehn di ridurre i salari del 10% per rilanciare la crescita. "Aggrapparsi all'austerità e alla riduzione dei salari non è la risposta giusta", ha scritto la Confederazione dei sindacati europei (Ces) in una lettera aperta al vicepresidente della Commissione europea e responsabile per gli affari economici e monetari, con cui "respinge la proposta di erosione salariale in Spagna allo scopo di riprodurre i successi irlandese e elettone". Nella lettera la Ces sottolinea che "la Lettonia e l'Irlanda, che hanno perduto rispettivamente il 20% ed il 15% dell'insieme della loro forza lavoro, possono difficilmente passare per esempi". "L'unica lezione da imparare dalla Lettonia è che l'azione prioritaria è stata quella di rilanciare la crescita", afferma il sindacato europeo aggiungendo che "l'Europa deve rinviare l'applicazione del limite del 3% di deficit finché le economie nazionali non si saranno riprese" ovvero probabilmente fino al 2016-2017. La Ces inoltre denuncia "la corsa verso il basso" dei salari "provocata in molti stati membri della concorrenza salariale incoraggiata dalla Commissione". "Come avevamo previsto - ha affermato il segretario generale della Ces, Bernadette Sègol - l'austerità non funziona. Noi siamo favorevoli a politiche che stimolano l'attività, accompagnate da salari e pensioni che sostengano i consumi".

#disoccupazione in #aumento

#disoccupazione in #aumento

Istat, disoccupazione in aumento. Al 40% quella giovanile

La disoccupazione in Italia resta ferma al 12% durante il mese di luglio. Invariata rispetto al mese precedente, ma in aumento su base annua, con un rialzo di 1,3 punti percentuali. Lo rileva l'Istat (i dati sono ancora provvisori). La disoccupazione, dunque, resta su livelli allarmanti. Il numero di disoccupati, pari a 3 milioni 76 mila, è diminuito dello 0,3% rispetto al mese precedente (-10 mila unità), ma ha toccato la soglia del 12% su base annua (+325 mila).L'incremento è diffuso su tutto il territorio e interessa per oltre il 50% dei casi persone con più di 35 anni. Il 55,7% dei disoccupati cerca lavoro da più di un anno.Se si analizza poi il tasso di disoccupazione giovanile l'indice sfiora il 40% aumentando di 0,4% punti rispetto al mese precedente e di 4,3 punti sul 2012. Nel secondo trimestre tra i 15-24enni il tasso sale al 37,3% (+3,4 punti), con un picco del 51% per le giovani donne del Mezzogiorno.I dati Istat rivelano che la disoccupazione in Italia è salita di 585.000 unita' rispetto a un anno prima (2,5%) con un incremento nel Mezzogiorno (5,4%, pari a 335.000 unità). A farne le spese sono soprattutto gli uomini (3,0% con 401.000 unità) mentre sono meno penalizzate le donne (1,9% che perdono 184.000 unità). Disoccupazione in crescita anche tra i più giovani (532.000 unita') e tra i 35-49enni (267.000) Mentre invece aumentano gli occupati con almeno 50 anni (+214.000 unità).Il calo dell'occupazione è maggiore nell'industria (-2,4% con 111.000 posti in meno) e nelle costruzioni (-12,7% con 230.000 posti in meno). A ritmi più sostenuti, l'occupazione si riduce anche nel terziario (-1,0%, pari a -154.000 unità). Non si arresta il calo degli occupati a tempo pieno (-3,4%, pari a -644.000 unità rispetto al secondo trimestre 2012), che in quasi metà dei casi riguarda i dipendenti a tempo indeterminato (-2,5%, pari a -312.000 unità). Gli occupati a tempo parziale aumentano in misura minore rispetto al recente passato (1,5%, pari a +59.000 unità). E la crescita - spiega l'Istat - riguarda esclusivamente il part time involontario. Per il secondo trimestre consecutivo, e con maggiore intensità - spiega infine l'Istat - cala il lavoro a termine (-7,2%, pari a -177.000 unità), cui si accompagna la nuova diminuzione dei collaboratori (-7,0%, pari a -32.000 unità).

#Piombino #acciaierie #chiusura

#lavoro #pianooccupazionale #acciaierie #valdicornia

Piombino. La chiusura incombe sulle acciaierie.

Migliaia di posti a rischio. Una mazzata sul piano occupazionale e sociale potrebbe abbattersi a breve su Piombino e affossare l’economia della Val di Cornia. L’altoforno potrebbe bloccarsi il 30 settembre ed entro febbraio tutti gli altri impianti. Così si fermerebbe non solo il cuore di un’intera città, ma il secondo polo siderurgico italiano dopo l’Ilva. Tra le ipotesi di salvataggio la “vendita spezzatino”. Lo storico stabilimento che produce acciaio da oltre cento anni – secondo a livello nazionale solo all’Ilva di Taranto –, rischia infatti seriamente di chiudere i battenti. E di lasciare quindi senza lavoro circa 4mila persone (se si considera anche l’indotto). Il cuore dell’economia di un intero territorio sta per smettere di pulsare. E qui, in un centro di appena 35mila abitanti, lo scenario paventato per la città di Taranto diventerebbe certamente realtà: se chiude l’acciaieria, chiude Piombino. La crisi industriale incombe sull’acciaieria di Piombino dal 2003 quando era di proprietà della famiglia Lucchini. Le acciaierie prima pubbliche, come l'Ilva di Taranto, furono privatizzate e dopo meno di dieci anni si è cominciato a parlare di crisi. Anche in quel caso piano di ristrutturazione fu realizzato dall’allora commissario Enrico Bondi (sempre lui, oggi all'opera sull'Ilva) e si pervenne all’acquisizione dello stabilimento da parte della Severstal, la società russa dell’acciaio di proprietà del magnate Aleksej Mordašov. Ma anche la proprietà russa dopo pochi anni ha annunciato il proprio disimpegno, lasciando di fatto il controllo della ex Lucchini ad una cordata di banche (Mps, Intesa Sanpaolo, Bpm, Unicredit, Bnl-Bnp Paribas, CariFirenze, Credito bergamasco, Banco popolare e Natixis), affinché si trovasse al più presto un acquirente.

giovedì 29 agosto 2013

#Europa delle #banche che #investono sui nostri #sogni

#18ottobre #scioperogenerale

#imu #inquilini #servicetax

#imu #inquilini #servicetax
L’Imu “cambia nome e destinatario”: Service tax, a carico degli gli inquilini. 1000 euro l’anno!

Il governo abolisce l’Imu. Erano tutti in attesa, anzi a sperare in quest’annullamento, eppure il risultato ottenuto non è dei migliori. O meglio, il governo ha abolito l’Imu ai proprietari, ma ha pensato bene, semplicemente, di cambiare nome alla tassa e spostarne il pagamento agli inquilini. Una vera beffa!Come sempre a essere favoriti dunque sono i proprietari. Un film già visto e proprio di recente nel diritto alla casa, lo abbiamo visto con la tanto pubblicizzata cedolare secca, che di fatto ha solo diminuito le tasse ai proprietari, ma sono gli inquilini invece ad essersi trovati a dover sostenere affitti esosi e, come è noto, senza avere i soldi a disposizione.A quanto pare anche in quel caso è valsa a poco la mobilitazione dell’Unione Inquilini che si è fatta avanti anche nella persona di Walter De Cesaris, Segretario Nazionale Unione Inquilini, che chiedeva la necessità di favorire gli inquilini, veri bisognosi, e non i proprietari. Oggi dunque ci risiamo, cambia il tema ma la sostanza è sempre la stessa. Perché? L’abolizione dell’Imu ai proprietari mette in mutande gli inquilini. Sono loro infatti, secondo il piano casa, a dover pagare la service tax, una tassa che travolgerà più di 3.000.000 di inquilini.Massimo, cosa provocherà dunque questa tassa a carico degli inquilini? L’idea che ne emerge nell’immediato è che i proprietari saranno i favoriti, e gli inquilini invece non avranno soldi da sborsare.“Una stangata media da circa 1000 euro (da una nostra stima prudenziale) – ha dichiarato Walter De Cesaris, Segretario Nazionale Unione Inquilini - rischia di abbattersi a partire dal prossimo anno sugli inquilini. Non è ancora chiaro nei dettagli il meccanismo, ma è evidente che, a partire dal 2014, saranno a carico degli inquilini la maggior parte degli oneri relativi alla nuova tassa che, di fatto, anche negli importi, sostituirà sostanzialmente l’intera IMU oggi pagata dai proprietari”. Rispolveriamo i dati necessari a presentare il quadro della situazione attuale: l’80% degli inquilini ha un reddito lordo che non arriva a 30 mila euro (fonte Banca d’Italia). Oggi il 90% delle circa 70.000 sentenze annue di sfratto sono per morosità (fonte ministero interno). In Italia sono 650 mila le famiglie che hanno diritto ad una casa popolare avendone i requisiti certificati dai Comuni.La Service Tax dunque non è altro che uno “spostamento di pagamento di tassa”, dalla proprietà agli inquilini. Anche sulle case invendute c’è il taglio dell’Imu. Un regalo ai costruttori? L’ennesimo tentativo per favorire la speculazione edilizia? a qaunto pare sì. Arriva anche un “contentino”: “Un intervento di rifinanziamento sul fondo sociale per gli affitti per le famiglie in difficoltà (l’1,5% del costo dell’intero provvedimento sull’IMU) - spiega Walter De Cesaris - Ricordiamo che lo stanziamento statale del fondo sociale per gli affitti 15 anni fa, in una situazione economica e sociale del tutto differente da oggi, era 5 volte superiore. Oggi siamo alla mancia. Consideriamo una importante affermazione della mobilitazione di questi anni, dai picchetti anti sfratto, alle mobilitazioni nelle città, alle ripetute denunce, che per la prima volta in un provvedimento statale si assuma il problema degli sfratti per morosità. Anche in questo caso – aggiunge il Segretario - il governo, però, ha deciso di intervenire, con una misura tampone: l’introduzione di un altro fondo sociale, finanziato, tra l’altro, in maniera del tutto inadeguata, con 40 milioni di euro, insomma spiccioli.

#18ottobre #scioperogenerale

#lavoro oltre 9milioni in #difficoltà

#lavoro #precario #disoccupati #cassaintegrati

Lavoro, oltre 9 milioni «in difficoltà»

Grazie, e allora? Lavoro non ce n'è, e quando c'è fa schifo. Umilia. Lo sappiamo. Basta frugare nelle nostre vite, o saper guardare quelle di chi ci sta attorno e si affanna sempre più per tirare avanti in qualche modo. Poi arriva l'ennesimo rapporto di conferma. In Italia ci sono oltre 9 milioni di persone «nell'area della sofferenza e del disagio occupazionale, tra disoccupati, scoraggiati e cassa integrati, e part time involontari» (lo certifica l'associazione Bruno Trentin-Isf-Ires della Cgil). Probabilmente sono di più. Non sono solo statistiche, e ad ogni rapporto è come guardarsi allo specchio per scoprire che siamo sempre più conciati e paralizzati di prima. Allora non resta che dare un'altra occhiata ai numeri, anche se in assenza di una terapia d'urto - un moto di ribellione, una presa di coscienza collettiva dura e determinata - è sempre più deprimente e scoraggiante sentirsi diagnosticare ogni volta lo stesso male. Poi finisce che ci si rassegna a galleggiare «nell'area della sofferenza», scoraggiati. Il rapporto - che ha per titolo Gli effetti della crisi sul lavoro in Italia - prende in esame i dati relativi al primo trimestre del 2013 comparandoli allo stesso periodo dell'anno precedente. La situazione è drammatica, tanto più che bisogna tenere presente che le assunzioni sono sempre superiori nei primi mesi dell'anno mentre le cessazioni di lavoro aumentano toccando il picco massimo negli ultimi mesi: rispetto allo stesso trimestre dello scorso anno i nuovi rapporti di lavoro attivati sono 238 mila in meno (-10,4%), mentre quelli cessati sono 84.378 in meno (- 4,2%). Dunque, in questa fine d'estate la situazione probabilmente è peggiore che nel periodo gennaio/marzo, quando "in sofferenza" sono state registrate 9 milioni 117 mila persone in età da lavoro. Sconvolgono anche i numeri che fotografano il precipitare della situazione. Rispetto all'anno precedente «si è registrato un incremento complessivo del 10,1%» (835 mila persone in più), mentre rispetto al primo trimestre del 2007 l'aumento del «disagio occupazionale» è stato del 60,9%: nel giro di sei anni 3 milioni e mezzo di persone in più sono state costrette a cambiare vita e soprattutto prospettive per "colpa" del lavoro che non c'è o che non permette di vivere decentemente. Il rapporto Cgil, per fare un po' di chiarezza, anche se sarebbero da approfondire i criteri di valutazione della "sofferenza" da lavoro, ha individuato due segmenti di popolazione. C'è l'area più svantaggiata (disoccupati, scoraggiati e cassaintegrati) che «si attesta a 5 milioni e 4 mila persone», mentre quella del "disagio" (precari e part time involontari) che comprende 4 milioni e 113 mila soggetti. Fulvio Fammoni, presidente dell'associazione Bruno Trentin, legge questi dati parziali come «un aspetto del progressivo deterioramento del mercato del lavoro italiano, fra cui il dramma della disoccupazione giovanile, l'emergenza del Mezzogiorno, l'aumento della disoccupazione di lunga durata, il permanere di un'alta quota di inattività, un part time involontario in costante crescita dal 2007, l'anomalia di una precarietà non solo subita ma che, contrariamente a quanto si afferma, non porta più occupazione nonostante sia la forma di ingresso al lavoro nettamente prevalente». Fammoni ha sottolineato più volte l'eccesso di precarietà esistente e l'ipocrisia strumentale di una certa area (centrosinistra compreso) che continua a chiedere e pretendere meno rigidità sul mercato del lavoro. Sono altri numeri che fotografano la qualità, bassa, del lavoro in Italia. Le assunzioni effettuate nel primo trimestre del 2013 sono nel 64% dei casi con contratti a tempo determinato, solo il 19% a tempo indeterminato, l'8,4% con contratti di collaborazione e solo il 2,5% con contratto di apprendistato. «La realtà dei numeri - scrive Fammoni sul sito dell'associazione - dimostra che non serve ulteriore flessibilità sul tempo determinato. Quello che serve è creare più lavoro e indirizzarlo verso le forme più stabili. Il numero davvero basso di utilizzo dell'apprendistato indica come la scelta delle imprese non è solo basata sul costo (il tempo determinato costa certamente di più) ma prevalentemente sulla possibilità di interrompere il rapporto di lavoro quando si vuole». Si chiama precariato spinto a livelli non più sopportabili per le generazioni più giovani: fra chi lavora, e sono pochi, il 52,9% ha un contratto precario (quasi il doppio rispetto al 2000). E si chiamano "lavori" anche se solo un quinto dura più di un anno, mentre più della metà non durano nemmeno tre mesi, e tra questi prevalgono nettamente i rapporti di lavoro della durata di un mese. Poco sopra l'elemosina, appena più gradevole della schiavitù.